Non mi trovo dove mi cerco




 Il post che segue non è una riflessione filosofica su Montaigne. E’ il racconto di una scoperta inaspettata che mi ha incuriosita e proiettata in ulteriori ricerche documentali, con l’obiettivo di seguire l’evoluzione del caso.   Ciò che racconto è una autentica virata dall’intenzione con cui Montaigne scrive nei Saggi: “Mi accade anche questo: che non mi trovo dove mi cerco; e mi trovo più per caso che per l’indagine del mio giudizio”. Aggiungo  anche di avere colpevolmente creato un ponte immaginario fra l’asserzione di Montaigne e la vicenda che mi accingo a descrivere. Non ho potuto fare a meno di mettere insieme gli elementi del caso e di scorgervi una trama che per il gioco del destino realizza, dopo la morte, quanto Montaigne scriveva riflettendo su di sé in vita. Quasi fosse un preveggente.     

Nel 2019 ho trascorso una vacanza nel Perigord, una regione francese incantevole, grondante di bellezze naturali e ricca di villaggi di pietra colorata rimasti intatti nel tempo. Il capoluogo è la città di Bordeaux, dove Michel de Montaigne ha svolto il suo ufficio di sindaco dal 1581 al 1585 e dove per un periodo è stato parlamentare. Ovviamente, la prima tappa del mio viaggio è stata la visita al villaggio di Saint- Michel-de-Montaigne, il luogo che ha dato i natali al filosofo. Qui  si trova il Castello della famiglia Montaigne con la celebrata Torre della Biblioteca, di cui nulla rimane degli oltre mille volumi, quasi tutti lasciati in eredità a Montaigne dall’amico fraterno Etienne de La Boetie, morto prematuramente. Il villaggio è minuscolo, gli edifici importanti si contano sulle dita di una mano. La piccola chiesa antica di Saint Michel è uno di questi. Da qui prende avvio il mio resoconto sul caso di Michel de Montaigne, che “non si trova dove lo si cerca”. Nel Livre de raison de Montaigne  (il Registro di famiglia dei Montaigne), al giorno 13 settembre dell’anno 1592, la figlia Léonor indica che il cuore del padre viene deposto nella chiesa di Saint Michel. Nella carta esplicativa esposta fuori della chiesa si legge che nel tempo sono stati intrapresi degli scavi per trovare il muscolo cardiaco del defunto Montaigne, ma senza risultato. Il dubbio però rimane. Nessuno infatti ha avuto il coraggio o la spudoratezza di smantellare l’intera chiesa per scovarne la sepoltura. Ancora più rocambolesca è l’avventura intrapresa dal resto del corpo di Montaigne, trasportato per volontà della sua sposa a Bordeaux nel convento dei Foglianti e qui sepolto nella cappella della chiesa. Fino al 1802, quando il convento viene trasformato in Liceo imperiale, poi distrutto da un incendio nel 1871. Nel frattempo della ricostruzione e della trasformazione del liceo in Facoltà di Scienze e Lettere, i resti del filosofo vennero traslati nel cimitero della Chartreuse di Bordeaux. Faranno quindi ritorno nel rinnovato edificio universitario nel 1886, saranno calati nei sotterranei dove vi  rimarranno per oltre un secolo. Da quella data le spoglie mortali di Montaigne cadono nell’oblio della storia e degli uomini. Nessuno ricorderà la loro esistenza, nessuno le cercherà. Dopo un secolo, nel 1987, la Facoltà viene trasformata in Museo di Aquitania, definitivamente. Nel 2018, in occasione del restauro del cenotafio di Montaigne, che la moglie del filosofo aveva fatto scolpire in memoria delle opere compiute dal marito, il direttore del Museo decide di svolgere una ricognizione nei soffocanti sotterranei del museo, introducendo una piccola telecamera. Viene così individuata una bara di legno con una targa recante il nome di Michel de Montaigne. Nel 2019 la bara viene aperta e si svolge la prima autopsia sulle ossa che si ritengono appartenere a Montaigne. Nel 2020 sono avviate ricerche di laboratorio multidisciplinari, ancora in corso, che consentiranno anche una ricostruzione facciale e il sequenziamento del genoma. I primi risultati indicano che le ossa appartengono a un maschio di oltre 30 anni, senza particolari patologie. Non c’è traccia dell’estrazione del cuore e si cercano i segni della calcolosi renale di cui Montaigne soffriva e che lo aveva portato a viaggiare anche in Italia  per curarsi con i bagni  termali.


“Mi accade anche questo: che non mi trovo dove mi cerco; e mi trovo più per caso che per l’indagine del mio giudizio.”


Scrive così il filosofo francese Michel Eyquem de Montaigne (1533 - 1592) nei Saggi, al Libro I, capitolo X “Del parlare spedito o lento”.

Da un eccesso all’altro. Dall’oblio durato secoli alla nuda esposizione di ogni informazione che possa confermare la verità dell’appartenenza dei resti casualmente ri-trovati al filosofo Montaigne. Del  quale,  peraltro, conosciamo già moltissimo attraverso la lettura dei Saggi e degli altri suoi scritti, diari di vita arricchiti di riflessioni e annotazioni personali, più che opere sistematiche di filosofia. Forse Montaigne  si sarebbe divertito all’idea della sua tumulazione ambulante. In fondo era un extra-vagante. Certamente non avrebbe gradito essere oggetto di studi scientifici indirizzati a fare emergere ogni minimo dettaglio del suo corpo-persona, lui che era un umanista profondo e che non stimava il valore della scienza portata all’estremo. L’uomo non è al centro del mondo e non è superiore agli altri animali, afferma. Anche delle informazioni che emergeranno dall’analisi delle sue ossa, credo non gliene sarebbe importato affatto, perché non era questa la conoscenza di cui riferisce nei  Saggi quando scrive: “Preferirei capirmi bene in me stesso che in Cicerone”.

Non mi trovo dove mi cerco, scrive Montaigne. E continua ad averne tutte le ragioni.



Vilma Mazza | Pratiche filosofiche