O questo, o quello



Mi sono spesso domandata se i concetti di cui sono intessute le opere dei filosofi non siano soltanto una esposizione ragionata di argomentazioni, ma anche espressione e riflesso della personalità di chi le ha scritte. Cioè il frutto della vita dell’uomo filosofo, per come ha vissuto e interpretato la propria esistenza.

Le vicende di Soren Kierkegaard, filosofo danese nato nel 1813 e morto nel 1855, soddisfano  in parte l’interrogativo. Soren incontra per la prima volta Regine Olsen nel 1837. Lei ha solo 14 anni, lui ventiquattro. E’ un colpo di fulmine, un  innamoramento straordinario per entrambi, quasi un’ossessione per Soren, un candido  ma autentico incantamento per l’adolescente Regine. Tuttavia la giovane età di lei richiede l’attesa di un tempo più lungo per il fidanzamento, che avviene nel 1840. Dopo soltanto un anno, senza dare spiegazioni, Soren rompe il fidanzamento. Definitivamente, nonostante le resistenze di Regine e le pressioni dei familiari per tentare una riconciliazione. Pur di evitare ripensamenti e cedere alle suppliche di lei, scrive lettere deplorevoli, costruisce l’inganno di fingersi dedito all’alcol e di avere un’amante a Berlino. Fatti per nulla veritieri, ma che avrebbero dovuto esitare da parte di Regine il rifiuto a continuare a sperare. Soren ‘inscena’ la sua convinzione mascherandosi dietro a un personaggio che parla di lui e per lui, nel quale però non si rispecchia affatto. Un paradosso. In realtà Soren penserà a Regine per tutta la vita, consegnandola all’amore eterno e alla storia  (a lei infatti dedica tutte le sue opere fino a lasciarle in eredità il suo patrimonio e le sue carte, che lei cortesemente rifiuterà).

Cosa è successo a Soren di così potente da condurlo a un comportamento che pare irrazionale? La risposta è innervata nell’angoscia di essere nella necessità di compiere una scelta radicale ma irriducibile. Non può essere un buon marito. Non può dedicarsi al matrimonio e a Regine nel modo in cui l’amore di lei merita e contemporaneamente essere capace di perseguire il compito che gli è stato posto dalla vita e che lui ha scelto, facendolo suo. Dedicarsi agli studi, alla scrittura, alla spiritualità. La disperazione che lo attraversa crudelmente è il punto di partenza necessario per determinare sé stesso in tutta la sua concretezza, per scegliere un “io” che gli corrispondesse in modo “assoluto”. Non è il dubbio, secondo Kierkegaard, che porta a scegliere vagliando le molteplici opzioni della vita. Perché tali opzioni possono essere tutte valide e pertanto condurre all’indecisione, a non scegliere, oppure ad accoglierle tutte. E’ la disperazione, è la crisi di angoscia che induce l’uomo a scegliere, perché “il dubbio afferra solo il pensiero, mentre la disperazione afferra tutta la personalità”. Chi dispera, non può scegliere fra questo o quello, può solo scegliere in modo assoluto, per intero, in quanto “l’assoluto sono io stesso nel mio eterno valore”, “sono io stesso come eterna personalità”. Scegliersi non è una riflessione su sé stessi, è l’atto etico di chi mediante la scelta vuole essere sè stesso, e nessun altro, in continuità.  
Chi sceglie scopre nell’atto di scegliere una energia positiva che lo rende autosufficiente, energia che “chi si fa scegliere non può conoscere”.

Il fidanzamento con Regine e la sua rottura sono di fatto gli eventi che hanno segnato tutta la vita di Kierkegaard e tracciato il suo pensiero filosofico lungo un solco irreversibile e unico nella sua originalità.  Non è un caso, quindi, che la sua opera più importante venga pubblicata nel 1843, solo due anni dopo la rottura del fidanzamento, e che abbia come titolo Aut-Aut, o questo o quello, il segno di tutta la sua filosofia. Come è stato per lui nella relazione con Regine, il filosofo Kierkegaard  ci invita a considerare che ad ogni passo della nostra vita noi siamo di fronte ad un aut-aut, siamo posti nella necessità di scegliere e di riconoscere la nostra libertà di scegliere. La scelta però non è assunta semplicisticamente, fra questo o quello. La scelta ci conduce dinanzi alle infinite possibilità della vita e alle molteplici prospettive esistenziali che si aprono a partire dalle scelte che si compiono. Ma tali infinite possibilità  meritano tutte di essere prese sul serio, perché tutte hanno una loro giustificazione. Per Kierkegaard, quindi, non è tanto importante “cosa” scegliere, ma scegliere.

Vilma Mazza | Pratiche filosofiche